MODA E’ ARTE: OP ART!

“La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo,nella strada, la moda ha a che fare con le idee, il nostro modo di vivere, che cosa sta accadendo.”
(Coco Chanel)

Sempre alla ricerca del nuovo, la moda non è qualcosa che nasce tra le quattro mura di un atelier come frutto del lavoro sapiente di abili sartine e isolati visionari. La moda da sempre è un fenomeno sociale, segue i pensieri, racconta i momenti storici, osserva le idee e attraversa la cultura tout court: dal cinema alla musica, dal cibo alla fotografia. Questo atteggiamento che contraddistingue la moda e ne fa un fenomeno di costume ha il suo apice sicuramente negli anni ’60, anni in cui anche nel campo dell’arte prevale la tendenza a rompere con il vecchio e a ricercare il nuovo. E infatti le diverse forme d’arte di questo periodo sono caratterizzate da un evidente desiderio di superamento della netta divisione tra la cosiddetta cultura “alta” e quella “bassa”. E mai come allora si è intensificata l’unione tra arte e moda, amanti appassionati che mai più si sono separati.
Negli anni ’60 infatti i confini tra le due diventano confusi e questo avviene principalmente grazie alla rivoluzione di pensiero portata dalla Pop art in una società nuova, fortemente condizionata dalla produzione in serie e dai consumi di massa: un contesto socioeconomico che segna l’avvento di una ‛società opulenta’ in cui alla psicologia del risparmio e del produrre si sostituisce la psicologia dello spreco e del consumo.Pop indica una rinnovata cultura popolare che inaugura un rivoluzionario rapporto tra la vita e l’immagine artistica in cui l’arte non solo imita la vita ma la prende in prestito e ne usa la bellezza e la forza comunicativa. Cadono quindi i tabù tra linguaggi alti e linguaggi bassi, la contaminazione e il rapporto tra arte e moda diventano sempre più strette, arte e vita si confondono sempre più fino a sciogliersi l’una nell’altra.
Mentre la Pop art influenza la società e la comunicazione in generale, l’Op art è la corrente artistica degli stessi anni che maggiormente contamina il mondo della moda. L’ Optical art si sviluppa a New York negli anni della contro-cultura, tra la venerazione dell’eccesso e il culto della psichedelia: corrente d’arte astratta, ha come principale campo di ricerca formale l’illusione ottica e l’impressione plastica del movimento, attraverso il quale stimola e gioca con l’osservatore nell’opera d’arte. Essenzialmente grafica, l’Op art è tesa ad ottenere stravaganti effetti che inducono uno stato di instabilità percettiva. Erano i primi anni Sessanta e giovani artisti di tutto il mondo si interrogavano sul futuro, con un approccio alla realtà differente dal perbenismo e dal pragmatismo di quei tempi, tesi alla ricerca di una visione alternativa dell’arte e della vita.

Il gioco di accostare in modo particolare forme e colori per creare una sensazione di movimento tridimensionale, oltre ad affascinare gran parte degli artisti del periodo, non poteva passare inosservato agli stilisti di moda da sempre alla ricerca di particolari effetti visivi da sperimentare sulle loro creazioni. Ed è stato così che stilisti come Ossie Clark a Londra e Yves Saint Laurent a Parigi hanno conquistato un posto nella storia della moda ispirandosi a questa tecnica: occorre una notevole abilità sartoriale per riuscire a riportare questi effetti psichedelici su un capo d’abbigliamento piatto e senza vita. Insieme a loro, innumerevole e assai famosa è la schiera di stilisti italiani e internazionali che si sperimentarono in quegli anni in queste geometrie di stile. Come dimenticare le bluse «geometriche» di Mary Quant nella Swinging London o i vestiti bon ton a quadri e bolli di Valentino? E come non citare la splendida Twiggy, regina incontrastata di quei vestiti dagli effetti speciali: cerchi che diventano quadrati e quadrati che sembrano cerchi, geometrie ad incastro, righe che si inseguono senza sosta e spirali che ipnotizzano a seconda dell’ondeggiare del tessuto intorno al corpo cambiando la prospettiva a ogni passo.
La storia prosegue e il fenomeno grafico decade con l’avvento degli anni ’70, per poi tornare in auge vent’anni dopo e non abbandonare mai più le passerelle, declinato sempre in nuove forme e colori, ispirato e rinnovato dai tempi e dai loro cambiamenti.

Ma l’ “Op style” rimane soprattutto sinonimo di “bianco&nero”. Bianco e nero come il jazz e i duetti negli scantinati di New Orleans tra Bird&Chat, bianco e nero come la tastiera di un pianoforte, le foto d’autore, la poesia di Charlie Chaplin in Tempi Moderni ma anche il cinico divertimento del minimarket di Clerks. Nessuna mezza misura, solo contrasti secchi in forme creative: insomma scegliere un capo ispirato all’op art è una questione di carattere e a noi in bottega certo questo non manca.

E nemmeno alle nostre clienti!

Eli

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